3 Aprile 2017
A river unafraid of becoming the sea
Se posso, una delle prime cose che faccio arrivando in un posto è visitarne il cimitero. Ho passato giornate intere tra i tanti, suggestivi cimiteri di Parigi, e poi quello di Lisbona, con quel nome così poco funebre, Prazeres (piaceri), il maestoso Staglieno di Genova, le immense distese di lapidi per i soldati, vincitori e vinti, caduti sulle spiagge di Normandia…
Ai più sembrerà insana e lugubre la passione per i cimiteri, buona solo per darkettoni amanti del gothic style, eppure tornare dopo tanti anni al cosiddetto Cimitero degli Inglesi, luogo di rara, incantata bellezza ed inaspettata quiete, proprio al centro di Roma, mi ha ricordato che poche esperienze, come quella del sepolcro, ci rendono così consapevoli del nostro stare al mondo, occupando proprio il posto che occupiamo, nello spazio e nel tempo. Sentirsi non più frammenti, ma completi e perfetti come un universo intero, perché in noi sono confluite le storie di coloro che hanno camminato su questa terra e hanno costruito la nostra identità. Qui ci riconosciamo per ciò che siamo davvero, perché siamo parte di quest’umanità che non è veramente trascorsa, se avanza con i nostri passi e respira nelle nostre emozioni, che siano gli artisti che ci hanno salvato e segnato la vita regalandoci ognuno il suo infinito o gli sconosciuti che insieme a pochi altri abbiamo profondamente amato. A tutti dobbiamo se, piccoli e tortuosi fiumi, almeno per un istante non abbiamo avuto paura di diventare mare.
Sì Donatella, i cimiteri sono alquanto vivi, infatti! Mi prendono per mano sul sentiero della riflessione, della contemplazione, a scoprire esistenze proiettate in una dimensione del non-tempo che ci rida, palpabile il senso dell’infinito…